Dall’alluvione di Campi Bisenzio verso il 12 luglio: cronaca degli ultimi mesi della lotta GKN
Poteva essere l’ennesimo stabilimento finito nel vortice della speculazione immobiliare, un ecomostro di cemento lasciato a marcire. Inutile, persino dannoso.
Invece, a novembre 2023, dopo che le intense piogge avevano fatto straripare il Bisenzio uccidendo 5 persone e seppellendo centinaia di case sotto il fango, la fabbrica di Campi Bisenzio – già epicentro di una resistenza operaia senza precedenti – è diventata anche luogo di raccolta per le squadre autorganizzate per i soccorsi, punto di ritrovo per prendere stivali e pale e disseppellire abitazioni, biblioteche, circoli, magazzino per la raccolta di beni di prima necessità da distribuire alla popolazione.
Mentre le carenze dello stato lasciavano le persone sott’acqua, e la burocrazia cercava di imbrigliare anche le forme spontanee di solidarietà, gli operai di GKN – doppiamente con l’acqua alla gola per l’alluvione e l’incombenza dei licenziamenti – erano lì, a sporcarsi le mani di fango, a mettere a disposizione un presidio di organizzazione e lotta fondamentale per il territorio.
Un territorio che è tornato in massa ai cancelli della fabbrica la notte di Capodanno. Migliaia di persone unite nella difesa di quella lotta, ad aspettare questa dannata ora X, quella prevista per il primo gennaio 2024 che avrebbe potuto sancire il licenziamento dei lavoratori e lo sgombero del presidio all’interno dello stabilimento. Invece, a pochi giorni dall’ora X, il 28 dicembre 2023, arriva la notizia: licenziamenti di nuovo respinti.
Si tira un sospiro di sollievo, un sollievo collettivo, ma consapevole che il giorno dopo c’è da rimettersi a lottare.
Da mesi i lavoratori non ricevono lo stipendio, gli incontri previsti per parlare del futuro dello stabilimento vengono disertati dall’azienda QF che subentra a GKN nel dicembre 2021.
QF sta per “quattro F”: Fiducia per il Futuro della Fabbrica di Firenze. Borgomeo, advisor di QF, non fa in tempo a presentarsi in fabbrica con questo slogan ammiccante, che i lavoratori lo riportano immediatamente coi piedi per terra, consapevoli sin dal primo giorno che si trattasse di un’operazione speculativa.
Lo guardano negli occhi e ribattono: QF: Farete Fatica a Farci Fallire. E alle parole sono seguite i fatti. Più di mille giorni di presidio permanente. Decine di cortei. Due festival internazionali della letteratura Working Class. Un azionariato popolare. Tre progetti di riconversione industriale ecologica. Una legge regionale. E 13 giorni di sciopero della fame a giugno. Iniziative partecipatissime e di spessore, per la qualità e profondità dei ragionamenti che le hanno accompagnate.
All’ultimo corteo, quello del 18 maggio, migliaia di persone hanno ancora una volta attraversato Firenze, e l’hanno fatto insieme al movimento studentesco per la Palestina che a Firenze – come in molte altre città – era in acampada per chiedere alle proprie università di boicottare gli accordi di cooperazione sulla ricerca e lo sviluppo tecnologico con Israele.
Un corteo partito da via Mariti, dove a febbraio 2024 5 lavoratori sono morti sepolti tra le macerie causate dal crollo di una trave, mentre lavoravano per la realizzazione di un nuovo supermercato Esselunga. Sono stati uccisi da un sistema del lavoro violento e precario, fondato sul sistema degli appalti che polverizza il lavoro e sottrae i responsabili dalle loro responsabilità. Chi è stato infatti a uccidere i 5 lavoratori? Non si sa, 61 cooperative dentro un solo cantiere. Nella giungla dei subappalti, sono responsabili tutti, eppure nessuno paga per le proprie responsabilità.
È partito da una zona oggetto di speculazioni edilizie, ma anche spazio per le lotte di quartiere che chiedono di far tornare l’area di demanio pubblico per realizzare un parco, perché è di spazi comuni e alberi che c’è bisogno, non di un altro supermercato, costruito con il sangue dei lavoratori immigrati.
Ed è arrivato infine ai palazzi della Regione Toscana, per rivendicare l’intervento pubblico qui e ora, sotto controllo operaio. Lavoratori e solidali si sono accampati sotto la Regione, alcuni hanno scelto di iniziare uno sciopero della fame durato 13 giorni, per ricordare – tra le varie cose – che il tempo è asimmetrico, che mentre le istituzioni temporeggiano e giocano al rimpallo di responsabilità, qualcunx è al lastrisco, magari perché senza stipendio da mesi, perché sotto le bombe, o perché aspetta una visita sanitaria che non arriva. Sono gradi di urgenza diversi naturalmente, ma per ognuna di queste urgenze un’ora, un giorno o un mese in più può fare la differenza.
Un corteo, quello del 18 maggio, nel quale tutto si intreccia e tutto si tiene legato, non per fare una sommatoria di problemi, ma per rendere visibile che tutto è connesso. Sono connessi il cambiamento climatico, Campi Bisenzio sepolta dal fango, e la scelta di intralciare in tutti i modi la transizione della fabbrica verso la produzione di mezzi sostenibili per la mobilità pubblica e per l’energia rinnovabile.
Sono connessi il silenzio del governo su GKN e quelle delle università sugli accordi con Israele, entrambi in difesa di relazioni e assetti di potere.
Sono connessi i tentativi dall’alto di sabotare questa lotta, i cantieri che crollano, l’alternanza scuola-lavoro e lo sfruttamento dei lavoratori immigrati come braccianti nelle campagne da cui nasce l’eccellenza del “nostro” made in Italy.
Sono connessi la guerra, il ritorno massiccio alle fossili, la torsione autoritaria a cui stiamo assistendo e la lotta per la riconversione produttiva ecologica, che significa stabilire una volta per tutte che si può fare, si può anteporre la collettività agli interessi guerrafondai e capitalistici.
Oggi, a pochi giorni dalla fine dell’accampata che si è conclusa con un incontro pubblico sulla convergenza tra giustizia climatica e sociale, la richiesta al centro della lotta è una e chiara: consorzio regionale pubblico per dare vita ad un polo delle energie rinnovabili e della mobilità sostenibile.
Esiste la legge, anch’essa scritta dal basso, che verrà calendarizzata nella discussione della giunta regionale. Gli strumenti ci sono, serve ora la volontà politica. E se manca, saranno i rapporti di forza ad imporre l’intervento pubblico.
Per questo, il Collettivo di Fabbrica, spalleggiato dalla rete di solidali, non ha alcuna intenzione di mettersi in un angolo ad aspettare che le istituzioni facciano ciò che dovrebbero fare, e ci chiama di nuovo a raccolta il 12 luglio a Firenze.
In quel lontano luglio del 2021 il Collettivo di Fabbrica ammoniva: se sfondano qui dove c’è una forte sindacalizzazione e un tessuto sociale reattivo, allora sfondano dappertutto. Non hanno sfondato, ma continuano a mettere i bastoni tra le ruote, perché questa lotta e le alleanze costruite fanno paura. Hanno paura che se ci riusciamo qui, possiamo metterci in testa di provarci anche altrove. Non si tratta di una questione di soldi, di difficoltà a investire nella fabbrica. Si tratta di una questione politica: se questa lotta vince diventa un esempio per tutti/e, apre un orizzonte nuovo, ridà speranza. È questo che spaventa. Allora hanno provato a tirarla per le lunghe, sperando di far esaurire questa resistenza.
Nessuno, soprattutto ai piani alti, avrebbe dato più di due mesi di vita a questa lotta. Qualcuno sperava che il trauma, la rassegnazione, l’alienazione, e poi la fame, l’assenza di stipendio, la stanchezza, l’avrebbero spezzata.
Invece eccoci qua 3 anni dopo, barcollanti di sicuro, col fiato sul collo di nuovi licenziamenti, ma ancora insieme a lottare in difesa della fabbrica di Via Fratelli Cervi numero 1, una via che nel suo nome racchiude una promessa: resistenza, fino a che ce ne sarà.
Paola Imperatore
Info evento 12 luglio: Ritrovo ore 19:30 a Firenze, Piazza Poggi. Dialogo sul lavoro con Valerio Mastandrea, Christian Raimo, Francesca Coin e Collettivo di Fabbrica, a seguire concerto e corteo.